Prima di raccontavi quali sono i percorsi che proponiamo come Assistenti Sociali Online e che fanno della “condivisione” il nostro “core – business” (scusatemi, lo so ci sarebbero miliardi di sinonimi, ma era da un vita che volevo usare questo termine meravigliosamente commerciale associato ad una prestazione sociale!) inquadriamo insieme cosa intendiamo quando parliamo di “condivisione”.
“CONDIVIDERE” : verbo transitivo (coniug. come dividere). – Dividere, spartire insieme con altri (il patrimonio è stato condiviso equamente tra i fratelli) ma anche, avere in comune con altri (condividere l’appartamento) più spesso figurativo (condivido pienamente la tua opinione; non condivideva le mie idee; condividono la passione per il mare). Nel participio passato “condiviso” con valore verbale o di aggettivo (è un’opinione condivisa da molti; obiettivi, programmi largamente condivisi) rimanda a concetti che incontrano un largo consenso.
Quanto è attuale questa parola? Quanto ci sono chiari i suoi significati?
Già “significati”, plurale!
Perché di fatto, oltre alla definizione citata del vocabolario, c’è molto di più !
“Condividere” è infatti una parola ambivalente: tanto antica quanto moderna, tanto semplice quanto complessa e parecchio “misteriosa”. Pare che derivi dal latino, ma a parte ciò, di fatto la sua etimologia non è poi così certa. E’ un termine infatti che, a seconda di come se ne interpreta l’etimo, può assumere significato sia gruppale che estremamente individuale.
Assumendo l’interpretazione secondo cui sarebbe l’unione di “con” e “divisione”, quella più nota nell’uso comune, rimanderebbe al concetto di spartizione, alla divisione e/o alla distribuzione di risorse. Tuttavia, secondo un’altra interpretazione, sarebbe l’unione di “con”, “di” “videre”: “videre” il latino del verbo “vedere”. Rimanderebbe quindi “condivisione” ad un “guardare insieme ma separati” .
Niente di più attuale e rispondente alla realtà dei “social”!
Ad oggi “condividere”, con l’avvento dei social è diventato infatti qualcosa di molto differente rispetto al concetto storicamente conosciuto.
Chi conosce il mondo di facebook, e dei social in genere, sa che esistono 3 interazioni principali che ciascuno può fare per dare modo all’altro, lontano o vicino che sia, ma comunque non presente e al di là dello schermo di sapere che ha preso atto, letto, provato delle emozioni, costruito una opinione a fronte di una sua comunicazione virtuale .
Queste 3 interazioni sono conosciutissime grazie a Facebook, ma presenti anche in altri social – che poi su altri social si traducano con altre azioni, peraltro esattamente simili nei contenuti, fa poco la differenza – :
· Cliccare “mi piace”: la più immediata e meno impegnativa delle 3;
· Commentare: considerata un passo in avanti verso l’interazione, questa azione se non altro dovrebbe implicare uno sforzo cognitivo maggiore, solitamente più rilevante rispetto al semplice gradimento;
· Condividere: cliccando “condividi” le persone possono dimostrare di aver apprezzato il contenuto postato, talmente tanto da volerlo mostrare anche alla propria cerchia di conoscenze e amicizie, ma possono anche condividerlo per il motivo opposto, ovvero nel caso in cui il post non piaccia, commentandolo e evidenziandone gli errori, esprimendo la propria posizione avversa.
Uno degli obiettivi principali dei social network in fondo, in origine, parrebbe essere stato proprio riunire comunità virtuali, fisicamente distanti, in spazi accessibili in cui avrebbero potuto interagire, socializzare. Il coinvolgimento dei cosiddetti “target”, pertanto, e la predisposizione di sempre nuove modalità di interazione – adesso oltre al “mi piace” è possibile inserire faccine che diano qualità alla reazione emotiva (rappresentano rabbia, affetto, divertimento, stupore, tristezza) ha l’obiettivo di far si che le persone si esprimano in merito a quanto condiviso sui social, con lo scopo di facilitare l’espressione comunicativa fornendo quello che in comunicazione è chiamato il feedback.
Ma siamo proprio sicuri che sia così e che essere abituati a condividere sui social, significhi poi, al di là del virtuale, saper condividere nel senso più ampio del termine?
Purtroppo alcuni fenomeni come il ritiro sociale degli Hikikomori (“Dal piacere 2.0. agli Hikikomori: se la dopamina è social” di A.P. Lacatena in Animazione sociale n. 298 pp. 104-108) dimostrano che il passaggio tra condivisione virtuale e reale non è poi così lineare ed incontra, negli stessi strumenti comunicativi offerti dai social, pericolose trappole che attivano patologie di addiction e un ritiro sociale. L’esatto contrario di ciò che la condivisione reale presuppone.
Il fenomeno esiste ormai da tempo, ma se ne parla proprio da poco, e non riguarda solo “i più giovani”; risulta essere così rilevante tanto che già nel 1995 Ivan Goldberg propose provocatoriamente di introdurre nel DSM la sindrome del Internet Addiction Disorder .
Il “piacere di piacere” sempre agli altri , l’attesa dei “mi piace” , dei commenti e delle condivisioni rischia di diventare, per chi inizia a soffrire di tali patologie il solo fine esistenziale. Queste forme di dipendenza – dalle analisi effettuate sulle esperienze degli utenti – risponderebbero infatti a gran parte dei bisogni presenti nella famosa piramide dei 5 bisogni di Maslow (1954) , fatti salvi i bisogni fisiologici.
Per capirci, studi scientifici hanno dimostrato che un “mi piace”, sotto la foto postata pochi secondi prima, comporterebbe al pari di ciò che causa dell’assunzione sostanze stupefacenti ed esperienze fortemente impattanti sull’area ventrale tegumentale del nostro cervello (come il sesso), una significativa scarica di dopamina nel nostro corpo.
Condividere emozioni negative, difficoltà e disagi è quindi una sorta di tabù…anche sui social come nella vita reale! Il problema è che quando si vivono difficoltà molto intime come una dipendenza, un lutto, la cura di un familiare gravemente malato o l’essere diversi dagli altri isola già nel mondo reale i Social non ci aiutano a chiedere aiuto nè a conciliare ciò che siamo con ciò che è SocialMente accettabile condividere on-line!
Nel caso degli Hikikomori con il tempo e l’aggravarsi della dipendenza saranno proprio i bisogni fisiologici a dare l’allarme e a far emergere la necessità di una, lunga e non semplice, cura e riabilitazione .
Gino Mazzoli già in un articolo presente nella rivista Animazione Sociale nel 2014 sostiene che “Forum, blog e social network creano una realtà nuova, molto interessante, ma per ora selettiva sul piano dell’utenza e comunque incorporea, non legata alla condivisione del medesimo territorio: in queste condizioni il piatto piange rispetto ai processi di costruzione della fiducia necessaria per intervenire nei contesti concreti.”
Tornando al tema della condivisione, cosa offre la “vita reale” ?
Occorre che come operatori sociali, genitori, figli ci domandiamo quali sono realmente le offerte presenti nei servizi, nei progetti privati, che garantiscano alle persone la risposta ai bisogni di SICUREZZA, APPARTENENZA, STIMA e REALIZZAZIONE .
“Il sociale va “ sostiene quindi Mazzoli “riallestito, nel senso che serve un investimento intenzionale, perché la società civile lasciata al libero mercato delle sue interazioni in questa fase non sembra in grado di secernere solidarietà, se non, come si è detto in forma perimetrata. Per concretizzare questa indicazione generale occorre saper vedere e valorizzare l’intelligenza che è al lavoro oltre il singolo, ma anche oltre il gruppo; che si produce attraverso processi non intenzionali; che crea una zona di comunicazione oltre i confini delle culture, delle organizzazioni, delle nazioni. Favorire la crescita di questa intelligenza collettiva, anti-ideologica e accomunante mi sembra il compito principale del nostro tempo.”
Condividere nella vita reale non è semplice, almeno non per tutti, e a maggior ragione quando si tratta di condividere con gli altri degli aspetti personali, sto pensando a condivisioni in cui bisogna mettere in gioco e portare alla luce, ancor più che le idee le sensazioni, le emozioni, il “sentire”.
E’ però anche vero che far fronte ad una situazione personale, di cambiamento o di difficoltà, da soli è molto complicato, anche con il sostegno delle proprie reti di sopporto mentre è totalmente differente affrontare le difficoltà con il supporto di un gruppo, inteso come spazio di incontro e confronto con altre persone che condividono una situazione simile.
Il gruppo infatti non è solo riconducibile alla semplice somma delle sue parti, l’atto dell’entrare nel gruppo è una scelta di coinvolgimento attivo, un’opportunità unica nel suo genere e di crescita che equivale a superare la soglia della propria casa per entrare in uno spazio comune, co-costruito e condiviso. Entrare in un gruppo significa varcare un confine fisico, temporale e psicologico, quello tra me e l’altro, ed entrare in uno spazio plurale caratterizzato dal sostegno reciproco e da relazioni d’aiuto.
Il gruppo è un attore fondamentale dell’approccio di comunità del Servizio Sociale, una risorsa per il cambiamento individuale e delle comunità , uno strumento che permette di acquisire ed esercitare un potere collettivo (questo si, che si moltiplica per il numero dei suoi membri) ma anche una palestra relazionale che permette di creare rinforzare e mantenere relazioni anche conflittuali, offrendo protezione e sostegno attraverso il ruolo del facilitatore. Insomma una valida risposta ai bisogni individuali di SICUREZZA, APPARTENENZA, STIMA e REALIZZAZIONE .
Come assistenti sociali siamo cresciute, professionalmente e culturalmente, nella convinzione che sia proprio la “condivisione reale” e, l’opportunità di poter sperimentare tale esperienza relazionale, nel gruppo lo strumento che ci permette di offrire quel “qualcosa di più “ alle persone ed alle comunità.
Siamo certe che attraverso interventi di gruppo e in gruppo nelle comunità si possa rivedere e rivoluzionare, guardando al passato come infondo poi accade in tutte le rivoluzioni, il nostro ruolo di assistenti sociali in una logica di COMMUNITY CARE.
Creare comunità curanti, richiede del tempo e dei passaggi obbligati, capacità negativa – quella che permette agli operatori sociali di non imporre il cambiamento ma esserci nel qui ed ora sapendo stare nell’attesa che i gruppi siano pronti ad attraversare, con i propri tempi e modi, le fasi trasformative che dovranno affrontare- con la volontà di “sporcarsi le mani” ed attivando percorsi che vadano oltre il dualismo domanda risposta cercando spazi che possano essere “piattaforme abilitanti”, spazi di creatività aperti indeterminati e da co- progettare.
Sempre Gino Mazzoli nell’articolo precedentemente citato sostiene che “l’operatore sociale […] non può porsi come deus ex machina, ma come accompagnatore di un contesto che ha una propria energia endogena. Accompagnare non significa essere un cortese compagno di viaggio, ma, ad esempio, proporre ipotesi e piste di lavoro, sostenere, riformulare, fare memoria, valorizzare le persone[…] In sostanza si tratta di facilitare il funzionamento dell’intelligenza collettiva che, essendo inconsapevole di sé, ha bisogno di qualcuno che “le faccia da sponda” e valorizzi ciò che sta generandosi, ma che, in assenza di questo sguardo facilitante, si avviterebbe intorno a dinamiche locali totalmente ignare del valore delle acquisizioni conoscitive costruite e dei manufatti sociali realizzati” .
E dal momento che nel vocabolario CONDIVIDERE è anche “avere unitamente ad altri, con piena partecipazione”, abbiamo scelto di realizzare i nostri progetti in spazi come questi piuttosto che cercare una nostra sede fissa , una forma complicata, impegnativa ma sorprendente di condivisione, in cui noi però crediamo fortemente.
Insomma se non fosse chiaro a noi piace “condividere” e a voi ?
Questo Settembre condivideremo tanto sia virtualmente, sul nostro sito e sulla nostra pagina Facebook, ma anche concretamente alla Festa della Casa del Quartiere di San Salvario il 23 Settembre p.v., per presentare tutti nostri progetti ed i PERCORSI IN GRUPPO !
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